
In questi giorni mi sto profondamente interrogando su un connubio che ritengo sempre più importante, per non dire addirittura illuminante in materia di arte e creatività in genere. Il concetto fondamentale è estremamente operativo, e ha a che fare con la "protezione" del processo creativo in tutte le sue fasi.
Di solito si dice che il bambino sia tendenzialmente più creativo, e che la creatività si perda progressivamente durante l'adolescenza e soprattutto la maturità. Questo fatto credo sia statisticamente innegabile. Ma perché accade?
Pensiamoci un secondo. Il bambino ha qualcuno che provvede per i suoi bisogni, e nel contempo non è ancora tormentato da tempeste ormonali e bollette da pagare. La sua condizione è perfetta per affrontare il cosiddetto deep work, il lavoro concentrato, approfondito, senza distrazioni. Osservate un bambino giocare con dei mattoncini da costruzione e ditemi se non è così: il gioco è per lui una cosa seria, molto seria.
Ma quando si diventa adulti bisogna fare delle scelte, e se quelle scelte non sono compatibili con l'arte e con la creatività risulta evidente quella dismissione mentale che è per forza di cose propedeutica alla dismissione oggettiva.
Fateci caso. Quasi tutti gli autori di romanzi avevano già un lavoro parallelo, non necessariamente giornalistico o artistico, senza il quale le lunghe sessioni di scrittura romanzesca non si sarebbero mai potute svolgere con la dovuta serenità. Sedersi davanti a un foglio bianco richiede di poterlo fare sul serio, ossia contando su una struttura di protezione attiva ed efficace.
Il guaio di questa dinamica è che non esiste solo l'istanza artistica "professionale" a invocarla. Ossia, se da un lato l'esercizio della creatività può aprire autentiche opportunità in ambito lavorativo, dall'altro lato è anche vero che perdere la facoltà di essere creativi può costituire in generale e a tutti i livelli una lacuna oggettiva, concreta, sociale ed esistenziale.
L'individuo concretamente impossibilitato a pensare in modo creativo non sarà in grado di essere intellettualmente autonomo, di decidere con la propria testa, di risolvere problemi complessi. Inevitabilmente vorrà cercare soluzioni preconfezionate, non avendo il tempo materiale per trovare le proprie. Ecco dunque che a fornire risposte saranno le retoriche della politica, le tifoserie, l'informazione mainstream come ovvio manipolata dal potere costituito, per non parlare dell'uso indiscriminato degli agenti di intelligenza artificiale che ormai stanno creando oceani di utenti incapaci di formulare un pensiero autonomo.
Il fatto è che la protezione del tempo dedicabile alla creatività è chiaramente un lusso, ovvero qualcosa che dobbiamo pagarci. In questo senso dobbiamo quindi utilizzare del tempo retribuito per pagare porzioni di tempo non retribuito in grado di permetterci quel deep creative work che possa germogliare in prodotti creativi, non necessariamente artistici.
Ora, io so molto bene che qualsiasi procedura creativa porta a qualcosa di buono. Ma a seconda degli orizzonti e delle aspettative bisogna comunque mettere in conto una considerazione di base: il tempo che dedichiamo alla creatività potrebbe non portare a nulla, ovvero potrebbe portare a qualcosa di molto diverso rispetto a quello che abbiamo preventivato. Posso iniziare a scrivere un romanzo storico, e capire in corso d'opera che il mio reale obiettivo non era scrivere un romanzo, ma organizzare un viaggio in Cina. Oppure posso immaginare di uscirmene con uno script radiofonico, che però mi porta verso la stesura di un diario visuale. E così via...
Il problema della creatività è che dobbiamo necessariamente concepirla come un viaggio, ossia come una procedura che porgerà sempre una parte fortemente deterministica (le mappe, le informazioni preliminari, gli strumenti da portare con sé) e una parte non completamente conoscibile, se non attraverso il viaggio stesso.
Il tema della protezione si pone quindi come irrinunciabile.
La narrazione di pubblico dominio vi racconta la storia di Stephen King, insegnante squattrinato che diventa improvvisamente ricco con la pubblicazione del romanzo Carrie, dopo vari tentativi non andati a buon fine. Non vi racconta però la storia delle decine e decine di storie anonime di aspiranti scrittori, magari identici a King in bravura, che quella pubblicazione non l'hanno raggiunta mai.
Fare arte significa necessariamente ragionare a fondo perduto. La stessa cosa riguarda la creatività, con la sola differenza che "fare creatività" significa più in generale ottenere comunque qualcosa, senza sapere esattamente cosa. Un dettaglio che va considerato da subito, di modo da intraprendere il viaggio con l'opportuna apertura mentale.
In ogni caso il tempo che dedichiamo alla creatività deve essere in qualche modo protetto, ovvero riparato dall'azione del circostante, che sicuramente agisce come censura distruttiva. L'idea è nel contempo connessa alla qualità della creatività e alla sua possibilità di esistere senza compromettere tutto il resto: quotidianità, routine lavorativa, gestione finanziaria oculata, e via discorrendo. L'adagio sussiste anche come regola nell'organizzazione aziendale: il comparto creativo deve essere protetto dalle ingerenze di tutti gli altri, specie quelli che trattano questioni finanziarie e amministrative.
Di traslato, l'idea dovrebbe essere applicata anche in sede progettuale, non importa se a livello collettivo o personale.
Filippo Albertin
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